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IL PRESCELTO

Aggiornamento: 1 giu 2022

Il sugo scoppiettava nel pentolone, avvolgendo le stanze con un appetitoso profumo di pomodoro. La domenica mattina mamma Concetta, da brava massaia siciliana, si metteva all’opera di buon’ora, manovrando sapientemente il lungo cucchiaio di legno per mescolare senza sosta, con le movenze di una fattucchiera mentre prepara una pozione magica.

Suo marito Rosario, per tutti Saruzzo, era invece assorto nei suoi pensieri. Seduto a capotavola, ancora in canottiera e pantaloncini corti, si grattava la barba ispida e brizzolata. Davanti a sé, sistemati come le carte di un solitario, aveva disposto ordinatamente cinque santini elettorali. I seggi per la scelta del nuovo sindaco del paese, e dei relativi consiglieri comunali, erano aperti da pochi minuti. Il problema che affliggeva Saruzzo era puramente matematico. I candidati conoscenti erano cinque, e gli elettori in casa solo quattro: lui, sua moglie Concetta, ed i loro due figli. Assegnando ad ogni componente della famiglia un candidato diverso, restava pur sempre un escluso. Per quanto provasse ininterrottamente a rimuginare, ogni equazione falliva miseramente. Un santino restava sempre fuori.

Al culmine della disperazione, sentendosi ormai sopraffatto dall’impietosa realtà aritmetica, decise di giocarsi l’ultima carta: i consigli della moglie.

«CONCEEE’!!!»

«Che fu, Saruzzo?» Concetta uscì spaventata dal cucinino, lasciando a malincuore il cucchiaio di legno e asciugandosi istintivamente le mani sul grembiule.

«Concè, dobbiamo farne fuori uno!»

«Mariiia, Saruzzo. Ma che dici?»

«Per le votazioni! Guarda qui. Sono cinque. Ne resta fuori uno. Chi scartiamo, u figghiu i Peppino


«Che cosa? Il figlio di Peppino? Ma sei impazzito? Ti scordasti che fece avere la pensione a mia mamma?»

«No, non lo scordai. Ma successe quindici anni fa!»

«E allora? Dov’è finita la riconoscenza?»

«Va bene, Concè. Ma questo è il figlio grande o quello piccolo?»

«Saruzzo, Peppino ha sempre avuto un solo figlio maschio. Mischino, come gli voleva bene a suo padre!»

«Perché “voleva”? Cosa successe a Peppino?!?»

«Perché, non lo sai? Morì l’anno scorso, mentre maneggiava il contatore della luce!»

«E allora, se è morto, che minchia gli votiamo a fare il figlio!!!»

«Bravo, così la moglie ci sparla a tutti perché non rispettiamo i morti!»

«E c’hai ragione, i morti si rispettano. E quindi?»

Concetta si accomodò accanto al marito, cominciando a scrutare i volantini elettorali sul tavolo. «Spòstati, lasciami guardare!». E inforcò i grossi occhiali da vista. «E questa faccia da fesso chi è?»


«Shhh, abbassa la voce. Vuoi farci ammazzare? Questo è il cognato di Don Totò ‘u latitanti! Me l’ha consegnato lui di persona. Mi ha detto “questo è mio cognato, è una degna persona. Come se fossi io stesso!”»

«Uuuh!» esclamò Concetta, facendosi il segno della croce. «Allora questo non lo possiamo scartare. No, no, non sia mai!»

«E, allora, Concè, cosa facciamo? Quest’altro non lo possiamo scartare perché ha il fratello che lavora al catasto, ci deve aiutare quando faremo la veranda il mese prossimo. Lo sai che alla veranda ci tengo, in estate voglio vedermi le partite al fresco, è il mio unico desiderio. Questa invece è la nipote di tua zia Fifetta, a settembre la incontriamo al matrimonio, e se non sale per colpa nostra ci fa una parte davanti a tutti.»

«Saruzzo, e questo picciutteddu chi è? Non mi pare conoscente…»


«Chissaccio», rispose Saruzzo con espressione dubbiosa, «questo me lo ha portato nostra figlia, lo conosce lei. Dice che è un ragazzo onesto, che ha delle buone idee e che può migliorare il nostro paese… tutte minchiate!»

«Ma a chi appartiene?», si illuminò Concetta «se non è conoscente scartiamo lui ed abbiamo quagliato

«Sì, e ci parli tu con tua figlia? Lo sai che non vuole sentire ragioni, è tutta presa dal volontariato, dalla politica attiva, e tutte queste belle cose!»

«Vabbè, Saruzzo, è picciotta. Ora fa così, poi le passa. Ti ricordi quando voleva suonare la chitarra? L’hai sentita più? Ci parlo io con lei, leva ‘sto santino, leva!»

«Che cosa levate, voi? Non vi azzardate!». La voce di Marianna, figlia di Rosario e Concetta, li immobilizzò. Marianna aveva una personalità così prorompente che nessuno osava discutere con lei. «Continuate pure a votare i parenti e gli amici, che tanto appena salgono si fanno solo i fatti loro!»

«Embè…» azzardò timidamente la mamma, «che cosa dovrebbero fare? Aiutare la collettività?» continuò, con tono volutamente canzonatorio. «Hanno la possibilità di uno stipendio fisso, e di farci delle cortesie. Se non ci aiutiamo a vicenda, chi penserebbe a noi?»

«È questo il problema, mamma. Ti vendono come cortesia quello che dovrebbe essere normale. Pensa che bello se non dovessi chiedere aiuto a nessuno. Per le pratiche, per una licenza, per una qualsiasi esigenza. Pensa che bello se tutto fosse semplice per tutti, naturale, senza essere in debito con nessuno.»

«Sì, la fai facile tu. Intanto il mondo va così», rincalzò Concetta. «Mentre aspetti che tutto sia normale, gli altri si fregano le cortesie.»

Saruzzo spostava gli occhi da un contendente all’altro, senza avere né il coraggio, né la competenza per intervenire. Si limitava ad annuire freneticamente, sempre attento a non scontentare nessuno. Quando Concetta o Marianna lo fissavano, per tentare di coinvolgerlo nella discussione, abbassava lo sguardo fingendo di concentrarsi sulle sue mani.


«Comunque», riprese Marianna, «io sono maggiorenne e decido io chi votare. Quindi spartitevi gli altri santini fra di voi.» E si voltò, accennando ad uscire dalla stanza.


Concetta prese il gomito del marito, e lo esortò ad intervenire: «Fai l’uomo, per una volta!» gli disse sottovoce, con tono stizzito.


Saruzzo si alzò battendo pesantemente la mano sul tavolo, spaventandosi lui stesso per il fragore prodotto. Ma non sapeva assolutamente cosa dire. Fece un rapido calcolo a mente: se prima c’erano cinque santini e quattro elettori, ne rimaneva fuori uno. Se Marianna votava il suo, restano solo quattro candidati. “Allora ce la facciamo” pensò per un attimo, ma poi si rese conto che gli elettori si riducevano a tre, ed il problema rimaneva. Ad un tratto trovò qualcosa da dire, e gonfiò il petto: «Anche se sei maggiorenne, finché mangi in questa casa voti chi ti diciamo noi!» E guardò la moglie con orgoglio. Concetta era quasi commossa.


La figlia nemmeno si voltò: «Va bene, oggi mangio fuori. Ci vediamo più tardi!» Ed uscì, chiudendo la porta alle sue spalle.


Saruzzo e Concetta si guardarono sconfitti. Senza dire una parola, si sedettero di nuovo attorno al tavolo, e ripresero a guardare i santini, ancora disposti in fila con quelle facce sorridenti e sicure, come se non importasse niente del dramma che si stava consumando in quella famiglia.


«Lo sapevo», sussurrò Saruzzo con lo sguardo tristissimo, «la veranda la facciamo alle prossime elezioni.»


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